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La tela di Meloni al G20, ‘partire dal piano Trump’ 

di Redazione Espresso Italia
22/11/2025
La tela di Meloni al G20, ‘partire dal piano Trump’ 

I toni ufficiali sono cauti, ma con i leader europei Giorgia Meloni è pronta a difendere il piano di pace proposto da Donald Trump per l’Ucraina. Per la premier rappresenta un primo passo, una road map che è migliorabile ma che deve costituire un punto di partenza necessario verso un negoziato vero e proprio. Una svolta serve con urgenza, dal punto di vista italiano, perché l’accanimento di Mosca va contro ogni scenario di distensione. Il tema dominerà i confronti bilaterali e multilaterali che la premier avrà a margine del G20 a Johannesburg, dove è atterrata nella tarda mattinata, nelle stesse ore in cui il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha avuto una conversazione telefonica con il francese Emmanuel Macron, il tedesco Friedrich Merz e il britannico Keir Starmer. Con i colleghi europei Meloni si riunirà per approfondire il dossier a margine del summit in Sudafrica. Intanto, tra i vari contatti internazionali delle ultime ore, “un primo scambio di valutazioni” sulla proposta americana la premier lo ha avuto con Merz (che in giornata aveva in agenda anche una telefonata con Donald Trump). Un colloquio in cui ha rimarcato la necessità di sostenere “gli sforzi negoziali in corso” con l’obiettivo finale di “pace giusta e duratura, nell’interesse dell’intera Europa”. Un aspetto del piano su cui di certo Meloni non ha dubbi è il meccanismo simil articolo 5 Nato: “È stato accolto con favore il riferimento a solide garanzie di sicurezza, integrali al più ampio quadro della stabilità europea e transatlantica, in linea con quanto da tempo proposto dall’Italia”.
   Per la premier l’apertura di Washington è un’occasione da non perdere, che tutela non solo l’Ucraina ma anche l’Europa. Mettersi di traverso al piano Trump comporta parecchi rischi, dal punto di vista del governo, ed è per questo che l’idea di una soluzione alternativa proposta dagli europei non troverebbe la sponda di Roma in questo momento. Per la Lega “è doveroso incoraggiare il dialogo tra Trump, Zelensky e Putin confidando si arrivi a una mediazione che ponga fine alla guerra”. Secondo il partito di Matteo Salvini Trump “merita fiducia, anche alla luce del risultato ottenuto in Medio Oriente. Ci auguriamo che nessuno, in particolare a Bruxelles, Parigi e Berlino, intralci i negoziati per assurde pulsioni belliciste”. In compenso ci sono “elementi del piano” che la presidente del Consiglio considera “meritevoli di ulteriore approfondimento”. Come nota anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, dalla trattativa “non può essere esclusa l’Ucraina e neanche l’Europa che ha inflitto sanzioni alla Russia e, quindi, se deve esserci una pace, poi l’Europa deve togliere le sanzioni”. “Il tema – dice il ministro della Difesa Guido Crosetto – è cosa ne pensa la nazione aggredita, quella che dovrebbe fare i sacrifici maggiori sulla base di questo piano, penso alla cessione di territori che sono stati difesi a costo di centinaia di migliaia di vittime in questi oltre tre anni di guerra”. La rinuncia di Kiev al Donbass è un altro degli elementi cruciali da esaminare. Nel governo c’è chi lo valuta l’emblema di un piano tutt’altro che favorevole a Zelensky, ma con la consapevolezza che sia il momento decisivo per spingere verso la fine del conflitto. Il confronto tra Meloni e gli altri leader europei affronterà anche la questione del Purl, il meccanismo di acquisto di armamenti americani da girare agli ucraini. Una questione che è stata affrontata anche lunedì scorso durante il Consiglio supremo di difesa, in cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si raccontava, avrebbe esortato a non condizionare il sostegno a Kiev in base a calcoli legati alle campagne elettorali e ai rapporti tra alleati. Il governo si mantiene in una fase di studio e riflessione, come è stato spiegato alla vigilia della missione. Ci sono valutazioni economiche, geopolitiche e strategiche. Tanti altri grandi Paesi della Nato non hanno ancora aderito, si ragiona in ambienti dell’esecutivo, e i Paesi baltici lo hanno fatto perché non hanno alternative per offrire sostegno militare all’Ucraina. E finché l’Italia ha armamenti da inviare al governo di Zelensky, notano le stesse fonti, tutto è più facile, nonché funzionale all’industria nazionale della difesa.

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